Salvatore Auteri Manzocchi


Nacque a Palermo il 24 dic. 1845.

Figlio della celebre cantante Almerinda Manzocchi, che il Bellini defini “il migliore dei miei Romei”, pur dimostrando fin da piccolo una particolare attitudine alla musica, ricevette dalla madre solo i primi rudimenti di quest’arte. Molto più tardi, dopo aver frequentato la scuola Zei a Firenze e conseguito a Pisa il titolo di “baccelliere” in legge, l’A. cominciò a studiare composizione con il maestro P. Platania a Palermo (1867-1869) e poi con T. Mabellini a Firenze (1870-1873)

A quest’ultimo soggiorno fiorentino deve ascriversi l’inizio di una feconda collaborazione artistica fra l’A. e suo zio, Michele Auteri-Pomar, che fu il librettista della maggior parte delle opere di lui. Marcellina,il primo frutto di questa collaborazione, arrivò solo fino alla prova generale, nel 1874, poiché, per la chiusura anticipata della stagione al teatro La Pergola di Firenze non venne rappresentata. La celebre cantante Isabella Galletti, che aveva assistito a questa prova, favorevolmente impressionata dalla vena melodica dell’autore, spinse l’A. a comporre un’opera adatta alla sua tessitura vocale. Con quella estrema facilità che l’A. dimostrò sempre nel creare nuove melodie, egli compose quasi di getto l’aria Sempre nei miei deliri – rimasta poi una delle sue arie più popolari – per sottoporla al giudizio della cantante. Fu questo il primo nucleo della sua nuova opera – nella quale confluirono anche brani tratti da Marcellina -, composta in brevissimo tempo: la Dolores rappresentata per la prima volta, il 23 febbr. 1875, alla Pergola di Firenze e interpretata da ottimi cantanti, fra cui primeggiava la Galletti. La Dolores ottenne un grande successo di pubblico e la critica fu concorde nel ravvisare nel giovane compositore uno dei più diretti e congeniali discendenti di Bellini.

Nel 1878, a Barcellona, venne rappresentato il Negriero (sulle scene italiane comparve solo cinque anni piùtardi) e il 22 maggio 1880 vi fu, al Teatro municipale di Piacenza, la “prima” di Stella sulibretto di Stefano Interdonato; ambedue le opere furono accolte favorevolmente, pur se destinate – come sarà anche per le successive – a un facile oblio, dovuto alle invidie e alle gelosie dei colleghi dell’A., ma, soprattutto, all’affermarsi di un nuovo gusto, rappresentato dai compositori più giovani – Mascagni, Giordano, Leoncavallo – che al trionfo della melodia anteponevano una più salda struttura armonica e una più complessa strumentazione.

Stanco di tante lotte contro i suoi denigratori, l’A. preferì abbandonare l’Italia e dedicarsi, in altri paesi europei – sopratutto a Londra, ove soggiornò a lungo – alla composizione di musica da camera, all’insegnamento del canto, alla direzione di concerti. Fin da questi anni, collaboratrice assidua dell’A. fu la moglie María, musicista ella stessa e figlia di A. W. Ambros, il noto cultore tedesco di studi storici sulla musica. Giunto a Trieste, l’A. si dedicò alla composizione di una nuova opera, su libretto dello zio, Il Conte di Gleichen,rappresentato dapprima al teatro Dal Verme di Milano il 17 ott. 1887 e quindi, nel gennaio del 1888, per l’inaugurazione della nuova stagione al Teatro municipale di Nizza. Il Conte di Gleichen mostra un evidente sforzo dell’A. di aggiornarsi alle nuove tendenze, poco congeniali, però, alla sua natura, portata soprattutto al “bel canto”: il numero delle arie è diminuito rispetto alle opere precedenti e maggiore attenzione è volta al discorso armonico e alla strumentazione.

Invitato dal suo amico Franz Listz alla direzione del conservatorio musicale di Budapest, preferì accettare invece il posto di maestro di canto al conservatorio di Parma, che occupò dal 16 luglio 1889. Nonostante varie interruzioni, dovute alle sue precarie condizioni di salute, mantenne la cattedra fino al 1ºmaggio 1910, quando, a causa di una cecità quasi completa, fu costretto a lasciare definitivamente l’insegnamento. Nel 1890 A. Boito, allora preposto alla direzione di quel conservatorio, gli aveva anche affidato l’insegnamento del “bel canto”, un corso di nuova istituzione, il primo, nei conservatori musicali italiani, destinato agli allievi di composizione per l’apprendimento dell’arte del “trattare le voci”, come scriveva il Boito in una circolare al ministero.

Graziella,su libretto di Michele Caputo, messa in scena a cura dell’editore Sonzogno per l’inaugurazione del nuovo Teatro lirico nazionale di Milano nell’ottobre del 1894, e Severo Torelli – di cui si ebbe la prima rappresentazione solo nel 1903 al teatro Duse di Bologna – sono le due ultime opere dell’A. che vennero rappresentate. L’ultima sua fatica nel campo operistico, La Dame de Prévennes, su libretto di Luigi Illica, rimase inedita.

L’A. morì a Parma il 21 febbr. del 1924.

La cantabilità delle “arie”, la facile vena melodica di questo autore non si accompagnarono a una eguale capacità di saper sostenere le parti drammatiche dei suoi lavori. Di qui anche il difetto più grave delle musiche dell’A.: una certa prolissità che questo seguito di belle melodie finisce talvolta coll’ingenerare. La sua spontanea inclinazione alla cantabilità della melodia rimane tuttavia – nonostante gli eccessi a cui talvolta può aver condotto – il maggior pregio dell’A. che si meritò gli elogi dei più grandi operisti di quei tempi, Verdi, Massenet, Catalani, Boito. Quest’ultimo ravvisava anzi in lui “l’ultimo dei compositori, che dopo G. Verdi, tenne sempre alta nelle sue opere la tradizione nobilissima della musica italiana”. E giustificava l’incarico all’Auteri del nuovo insegnamento sul retto impiego delle voci nella polifonia affermando necessario “un insegnante che fosse esperto compositore, libero da influenze straniere e nello stesso tempo conoscitore perfetto dell’arte del canto. L’autore della Dolores rispondeva appunto a tali esigenze…”.

Varie furono anche le composizioni da camera dell’A. – fra cui numerose romanze -; si ricorda di lui anche un ballettoAlessandro il Magnanimo, composto in collaborazione con P. Giorza e L. Cannuccini.

Uno studio teorico dell’A., pubblicato postumo dal figlio Michele, con prefazione di U. Giordano, Il canto nella sua essenza artistica e scientifica (Bologna 1936), mostra chiaramente la profonda conoscenza delle voci e del loro giusto impiego, acquisita dall’A. attraverso l’insegnamento e la severa preparazione professionale.


http://www.treccani.it/enciclopedia/salvatore-auteri-manzocchi_(Dizionario-Biografico)/